giovedì 30 novembre 2006

La cognizione di Villa Gadda

Il muro di cinta, simbolo più che munizione del privato possesso, da un ragazzo agile si poteva ingroppare e scavalcar facilmente, con poca spellatura di ginocchi, tant’era nano e ciuco, e sprovveduto anco, in arcione, delle rituali schegge di bottiglia. […]

Di là dal muretto, una stradaccia. Ghiaiosa, a forte pendenza, con lunule di piatti infranti, o d’una scodella, tra i ciottoli, od oblio d’un rugginoso barattolo, vuotato, beninteso, dell’antica salsa o mostarda: tratto tratto anche, sotto il livido metallo d’un paio di mosconi ebbri, l’onta estrusa dell’Adamo, l’arrotolata turpitudine: stavolta per davvero sì d’un qualche guirlache de almendras, ma di quelli!.... da pesarli in bilancia, diavolo maiale, per veder cosa pesano; parvenze, d’altronde, che la magnanimità del nostro apparato sensorio, aiutata da onorevole addobbo di circostanze, non può far altro, in verità, se non fingere di non aver precepito.

Percorsa da pedoni radi, la strada: e talora, in discesa, da qualche ciclista di campagna con bicicletta-mulo; o risalita dal procaccia impavido, arrancante sotto pioggia e stravento; o zoppicata non si sa in che verso da alcuni mendichi ebdomadarî, maschi e femmine, cenciose apparizioni nella gran luce del nulla. Vaporando l’autunno, vi sfringuellavano battute di ragazzi birbi, a piè nudi, en busca de higos y de ciruelas, che arrivano a divinare per telepatia di là d’ogni chiuso: d’orto (salvo l’orto del prete) o di signorile giardino. Vi si avventurava pure, col settembre, qualche puttanona d’automobile sfiancata dagli strapazzi, dagli anni, imbarcando magari tutta una famiglia gitante, con due litri di pipì a testa in serbo per la prima fermata, pupi e pupe, e il chioccione di dietro, sparapanzato a poppa, che soffocava con la patria potestà del deretano i due fili d’erba delle due figliolette maggiori. Pareva che una Meccanica latrice di prosciutti si avventasse contro l’assurdo, ruggendo, strombazzando, schioppando, sparando sassi da sotto le gomme, lacerando coi ruggiti del motore e con gli strilli de’ suoi sbatacchiati Argonauti-donne il tenue ragnatelo di ogni filosofia.

Paracarri di serizzo, fuori, proteggevano il muriccio dai sobbalzi e dalle lunghe scalfitture degli assi, de’ barocci di pietrisco e insieme ne avvilivano la statura, già trista; le carra hanno mozzi sporgenti, annerati in una morchia, e divallano sobbalzando sui ciottoli. (VII)

Ringrazio Corrado Malegori per le foto (da cellulare) e per i riferimenti gaddiani a La Cognizione del Dolore.

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